lunedì 2 gennaio 2012

Buona grazia con tutti e intimità con nessuno

Ovvero: dove, per mezzo di un trattato semiserio sui gatti, si riflette sull'umana malizia e si fanno buoni propositi per l'anno a venire.

Nelle giornate che restavano di quel lungo inverno, Isa s'era messa in testa di portare a termine due proponimenti: imparare a cucire a macchina e scrivere un saggio sui gatti nella letteratura. Progetti senza dubbio ambiziosi; ma Isa aveva dalla sua l'umidità, il freddo e l'oscurità dei pomeriggi di gennaio, che invogliavano a restare in casa a leggere, scribacchiare o ingegnarsi con scampoli di stoffa.
Del resto, il periodo precedente e successivo alle festività natalizie non era stato, né per Isa né per C., improntato a quella pace e a quella serenità di cui tanto si ama parlare all'approssimarsi del 25 dicembre. Entrambi avevano dovuto fare i conti, infatti, con i tre più temibili peccati della specie umana: la malignità, l'ignoranza e l'indiscrezione.
Dopo essersi molto arrabbiata (eppure riuscendo a mantenere fede al proposito di non dare in escandescenze), Isa aveva deciso di non pensare più a simili beghe e drammi da bottegaie; fu, tuttavia, uno stralcio tratto dalla satira di Giovanni Rajberti Il gatto a riportarla col pensiero agli ultimi avvenimenti e a spingerla a trarne una morale.

Parlando delle cortesi lagnanze espresse da mamma gatta ai ragazzini che si affollano intorno alla sua nuova cucciolata, Rajberti scriveva, nel suo trattatello del 1846:
La gatta madre [...] indica al più inquieto i doveri della discretezza. Ciò proviene da quell'alto grado di avvedutezza e di tatto sociale che distingue da tutti i bruti il gatto: il quale talvolta s'avanza franco e cordiale a provocare le carezze ruvide e pesanti d'uno sconosciuto che abbia cera da galantuomo; tal'altra batte il largo e sta guardingo, né si lascia per offerte o per moine avvicinare da chi dà il più lieve sentore di voler tendere una gherminella. Pare ch'ei legga nel cuore, e indovini le male intenzioni; e il solo vedersi molto desiderato senza un perché, gli basta per mettersi nel più alto grado di diffidenza. Peccato, che lezioni così chiare, giornaliere, domestiche, vadano perdute per l'umanità. Quale risparmio di guai dolorosi e di amari pentimenti, se tanti imparassero dal gatto ad essere cauti colle persone nuove, a non aprire il cuore al primo adulatore, a non far lega d'interessi col primo imbroglione che capita tra' piedi! (1)
A tale riguardo, Isa sapeva di essere in difetto - avendo permesso più volte, in passato, a persone grette, incapaci di qualsivoglia forma di eleganza, di intravedere i sentimenti del proprio cuore riguardo a questioni fra le più importanti.
Questi soggetti, che in un primo tempo si erano finti amichevoli e solidali, avevano poi cominciato a soffiare sul fuoco di vecchi dissapori, nel tentativo di alimentare nuove discordie; avevano diffuso ai quattro venti segreti e frammenti di conversazioni; imprecato con parole volgari; si erano incattiviti - per farla breve - con la virulenza tipica di una zitella d'aspetto sgradevole.
Il paragone al femminile non era casuale nella mente di Isa, giacché sovente questi iscarioti erano donne o, nella migliore delle ipotesi, uomini aizzati da mogli megere contro avversari immaginari. Cathy, che, al fianco di Isa, aveva osservato in più di un'occasione lo svolgersi dei fatti, scuoteva il capo esterrefatta di fronte a tanta bassezza morale e ripeteva all'amica: «Che ti dicevo? Bisogna sempre guardarsi dalle donne brutte, perché fin dal mattino, non appena si guardano allo specchio, sono arrabbiate col mondo e con se stesse!». Isa le dava ragione e, intanto, meditava su come difendersi da quelle ondate di fiele - che inzaccheravano ogni buona disposizione d'animo.
Alla fine, non volendo abbassarsi al livello degli aggressori, decideva quasi sempre di ignorarli e di cancellarli semplicemente dalla sua vita.

Leggendo e rileggendo le parole di Rajberti e dando uno sguardo ai suoi gatti adorati, Isa capì di dovere far tesoro d'un importante ammonimento. Ripensò al riserbo (così aggraziato!) di Cagliostro nei confronti di chiunque - all'infuori di lei e di C. (la madre di Isa ripeteva spesso: «Oh, ma questo tuo gatto... è così... distaccato!»); al timore di Matilde di fronte agli estranei; alla rapidità con cui Emma si defilava dal balcone non appena su quello accanto appariva la vicina di casa...
Capì di essere orgogliosa della discrezione (quale splendida parola!) dei suoi gatti e di volerla - da quel momento in avanti - imitare a tutti i costi.
In caso contrario, avrebbe finito per dare modo a certi individui di agire ancora contro lei. O, peggio, a lungo andare si sarebbe comportata come molte persone che lei e Cathy conoscevano - che non riuscivano a resistere alla tentazione di mettere in piazza i fatti più intimi e privati della loro vita, meravigliandosi poi che le malelingue li facessero a pezzi alla prima occasione...

(1) G. Rajberti, Il gatto, 1846, ECIG, Genova 1991, p. 39.

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