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giovedì 12 gennaio 2012

Victor, il pirata - Parte prima

I gatti amano tenerci sulle spine - Isa ne era convinta.
Non aveva forse dedicato interi pomeriggi nel tentativo di preparare Atena all'arrivo di Mickey? Quando il Professore e sua moglie non erano in casa, Isa vi portava il cagnolino, apriva poco alla volta la porta del bagno (regno incontrastato della gatta matrona) e permetteva alla bellicosa di sbirciare dalla mensola del termosifone lo sguardo angelico del suo futuro coinquilino. (Consapevole del fatto che fosse Atena a comandare in quella casa, Mickey rivolgeva a lei tutte le sue speranze di ospite di un canile sovraffollato...)
"Chissà come la prenderà" pensava Isa, mentre il giorno dell'adozione definitiva di Mickey si avvicinava. "Gli farà del male? Lo graffierà?"
Era tanto angosciata al pensiero della possibile reazione funesta di Atena che rimase di stucco - letteralmente - quando la gatta, la sera in cui Mickey fece il suo ingresso nella casa del Professore, non si degnò neppure di voltarsi verso il nuovo arrivato, preferendo di gran lunga dedicarsi alla distruzione di uno scatolone, ultimo residuo delle festività natalizie appena trascorse. Fra Mickey e Atena, il patto di non belligeranza durò quattro anni - fino alla morte di lei.
Anni dopo, con Emma, Isa aveva temuto di complicare una situazione già di per sé difficile - quella fra Clizia (cieca e ammalata d'insufficienza renale cronica) e Cagliostro: introdurre un terzo gatto non sarebbe stato un azzardo? Il risultato fu un equilibrio perfetto e un amore grandissimo fra Cagliostro e la piccola "equilibrista" dalle zampe bianche. Crescendo, Cagliostro si era rivelato d'animo contemplativo, mentre Emma, al contrario, affrontava la vita con coraggio e ardimento, allo stesso modo in cui non sapeva rinunciare alle sue scorribande sui tetti, fra la polvere e i piccioni: le loro nature opposte sembravano completarsi e trovare reciproca soddisfazione.
Tuttavia, proprio a causa della vivacità di Emma, Isa era stata incerta, al momento di adottare Matilde, se scegliere una femmina oppure un maschio. Al gattile di Stefania, dopotutto, c'era l'imbarazzo della scelta - e "Fenomeno" era un meraviglioso maschietto tigrato, che sembrava intenzionato a conquistare il cuore di C.
Combattuta, aveva riflettuto in fretta - e infine aveva deciso che Emma, dopotutto, aveva un cuore tenero sotto la sua scorza da avventuriera e non avrebbe avuto problemi ad accettare in casa la piccola e delicata Matilde. Oltretutto, una vocina interiore le suggeriva che Cagliostro (il Principe, il Preferito) mal avrebbe accettato l'arrivo di un concorrente.

A proposito del suo prediletto, Isa scriveva sul diario:
Cagliostro è molto cambiato, nell'ultimo anno. E' meno esuberante, meno chiassoso. Ha mantenuto la sua voce poderosa, acuta, ma ora la usa con ponderazione. Colloquia con me quando siamo soli - o quando ce n'è veramente bisogno.
Sono meno frequenti anche le sue manifestazioni d'affetto. Da piccolo, ronfava sonoramente non appena veniva accarezzato. Oggi preferisce reclinare la testolina con gentilezza ogni volta che riceve un complimento, riservando le fusa (leggere, più simili a un fruscìo che a una vibrazione) per la notte quando, nel buio della camera da letto e lontano dalle orecchie indiscrete degli altri gatti, sa di potersi abbandonare a un'affettuosità tangibile. A volte, il tocco aggraziato della sua zampa sul mio viso o il suo piccolo naso umido contro il mio si confondono coi sogni - o mi ridestano da incubi paurosi...
Cagliostro & Emma
Così era Cagliostro, che Isa amava altresì definire il suo "guardiano".
Victor era il suo esatto opposto. Arrivato nel cortile di Isa una sera d'estate (mentre la donna, stirando, stava guardando Frankenstein Junior: fu questa coincidenza a valergli un nome altisonante), era un gatto randagio e diffidente, col naso graffiato e l'occhio destro che lacrimava, striando di scuro la parte bianca della "mascherina" che portava sul muso. Il suo corpo - per quanto denutrito - era poderoso, ben piantato sulle zampe robuste. "Un misto tra il goffo e il bravaccio" pensò Isa, citando mentalmente la satira di Rajberti. (1)
Era affamato, ma non per questo disposto a rinunciare alla circospezione cui era avvezzo. Si faceva notare da Isa attraverso il vetro della cucina ma, non appena lei usciva per riempirgli la ciotola, il gattone faceva una piccola fuga, ponendosi in sicurezza dietro all'elleboro.
«Non ti fidi proprio di me, vero, micio-micione?»
Il gatto preferiva non rispondere.
Quel balletto andò avanti per mesi. Isa usciva in cortile, riempiva la ciotola e Victor si allontanava, mettendosi a mangiare solo dopo che la donna fosse rientrata in casa. Una sera, però, Isa decise di non andarsene e di sedersi sulla sedia sdraio. Victor la osservò perplesso da dietro le foglie dell'aquilegia: non l'aveva previsto. Le rivolse un debole miagolio (la sua voce era così delicata, in confronto al richiamo imperioso di Cagliostro!), come per dirle: "Avanti, vattane. Non lo sai che non posso mangiare, se non te ne vai?", e si mise anch'egli seduto, in attesa.
Ma Isa non sembrava intenzionata ad andarsene e così Victor, dopo molti tentennamenti, piccole corse fra le ortensie e qualche colpo di coda sulla polvere, decise di avvicinarsi comunque alla ciotola.

Continua...

(1) G. Rajberti, Il gatto, 1846, ECIG, Genova 1991, p. 90.

domenica 17 ottobre 2010

Dell'intrecciarsi di gatti e destini - Parte prima

Dove, dopo alcune pagine scarsamente chiarificatrici, si va a porre le basi della storia, raccontando per sommi capi il passato di Isa e dei suoi gatti.

Il Professore e sua moglie erano appassionati amanti degli animali, ma non avevano alcuna dimestichezza coi gatti.
Il Professore nutriva verso di loro una naturale diffidenza e la signora li teneva a debita distanza, forse segnata dalla triste storia del gatto che possedeva da bambina, scomparso in circostanze misteriose – con ogni probabilità cucinato dal vicino di casa che non disprezzava il sapore delle carni feline.
I primi gatti ad arrivare nella famiglia di Isa (sono sempre i gatti a scegliere gli esseri umani; non accade mai il contrario, per quanto agli uomini piaccia convincersene) furono Micia e suo figlio, Chicco. Nomi non particolarmente originali, ma non si può pretendere riferimenti letterari, storici o filosofici, da una bambina di otto anni.
Chicco e Micia, in verità, erano i denutriti gatti del signor Federico; nel giro di un autunno e un'estate divennero i pasciuti e affezionati famigli di Isa che, a quell'epoca, trascorreva nella piccola casa in collina i mesi più caldi dell'anno e tutti i fine settimana.
Con la vendita della casa (avvenimento che ancora oggi non cessa di suscitare in Isa grande commozione), dei due gatti non si seppe più nulla: il Professore e la moglie non avevano intenzione di rendere il furto definitivo, portandoli in città; e Isa non potè fare altro che ricordarli con affetto negli anni a venire, sentendosi in colpa per averli abbandonati nelle mani del parsimonioso signor Federico.
Gli anni dell'adolescenza furono segnati per Isa da grande sofferenza: accade a tutti gli adolescenti di questo mondo e dunque non si tedierà oltre il lettore con il resoconto dettagliato dei patemi di una ragazzina molto magra, molto pallida e discretamente testarda.
L'unico evento degno di rilievo fu l'arrivo, nell'appartamento di città della famiglia M., della gatta Atena. Isa la trovò - abbandonata e agguerrita esploratrice delle aiuole con l'erba più alta - quando aveva appena due mesi. Il suo carattere si rivelò bellicoso quanto il nome che le era stato affibiato. Per undici anni frantumò porcellane e soprammobili, strappò tende e tappezzeria, rovesciò pentole e vasi, graffiò e morse le mani amorevoli che la accarezzavano e la rimpinzavano. Fu bizzosa, umorale e amatissima. Una gattona tricolore che raggiunse il peso considerevole di sette chilogrammi e morì dopo una breve malattia, che le paralizzò le zampe posteriori. Se ne andò con dignità, senza miagolii strazianti, riuscendo a dimostrare - pur senza indulgere in eccessive moine - a Isa e alla sua famiglia quanto li avesse amati, nonostante tutti i loro difetti.

Il primo fidanzato ufficiale di Isa, D., nutriva verso i gatti una vera e propria fobia; ne temeva l'imprevedibilità e la prontezza dei riflessi, che potevano trasformarli da languidi compagni a temebili avversari nel giro di pochi secondi.
Atena intuì la sua paura e, per quattro anni (tanto durò il fidanzamento di D. con Isa), la sfruttò a proprio vantaggio, con crudele malignità.
«Sei una gatta terribile» affermava Isa con orgoglio, osservandola mentre, seduta sul divano accanto a un irrigidito D., ronfava sonoramente.
D., tuttavia, era una brava persona e Atena finì per onorarlo della sua vicinanza nei momenti meno opportuni: si faceva trovare appoggiata alle sue gambe quando D. si svegliava dalla penichella sul letto di Isa oppure lo bloccava in una stanza, appoggiandogli una candida zampetta sul braccio nel momento in cui il povero ragazzo tentava di raggiungere l'uscita. Una sera, D. fu costretto a battere un pugno contro il muro per chiedere aiuto, dato che Atena, seduta sulla mensola del termosifone del bagno, gli aveva afferrato la manica del maglione con le unghie e non dava segno di voler mollare la presa.
La perfidia che Atena riservava a D. era in fondo bonaria e affettuosa. Quanto meno, rivelava un certo interesse della gatta verso il compagno di Isa.
Diverso fu invece l'atteggiamento di Atena e di Mickey verso Paolino, il secondo fidanzato di Isa. La loro relazione durò solo quattro mesi e, in quel lasso di tempo, si conquistò un paio di graffi profondi da parte della gatta e un ringhio stentoreo da parte del cane.
Paolino era basso e grassottello: l'esatto contrario di D., come spesso accade in questi casi. Aveva un debole per gli alcolici e le frasi melodrammatiche. Riempiva le tasche di Isa di bigliettini in cui la rassicurava sulla solidità del suo amore. Alla ragazza, quelle lettere scritte in brutta grafia, con esiguo utilizzo della punteggiatura, mettevano ansia.
Paolino si vantava di essere un appassionato di Pirandello e Dostoevskij. Eppure, fu proprio la sua millantata passione per la letteratura, a giocargli un brutto tiro.
Isa capì infatti di non esserne innamorata durante una discussione su Il nome della rosa di Umberto Eco: Paolino era convinto che il Manuscript de Dom Adson de Melk fosse realmente esistito e recuperato dall'autore.
«Non posso stare con un uomo che non sa cosa sia una "finzione letteraria"» confidò afflitta alla "Zia" un mercoledì pomeriggio, sorseggiando cioccolata calda. «E tuttavia... oh, mi sento così spocchiosa!»
La "Zia" scosse la zazzera di capelli neri con una smorfia: «Non puoi andare a letto con qualcuno solo per sentirti in pace con la tua coscienza sinistroide...».
«E comunque c'è dell'altro» replicò lei senza raccogliere la frecciata politica. «Beve troppo.»
La "Zia" tacque, incoraggiandola a proseguire.
«La notte di Capodanno era ubriaco fradico. Gli dissi che disapprovavo il suo comportamento e lui nemmeno rispose. Stava seduto al tavolo di quel maledetto locale e mi fissava con occhi velati, limitandosi di tanto in tanto ad emettere piccoli effemminati singhiozzi. Che rabbia!»
«E poi?»
«L'ho trascinato in bagno. Ho spalancato le finestre e gli ho fatto lavare il viso con acqua fredda. Ho cercato di parlargli, ma... Continuava a chiedermi scusa e io mi innervosivo: volevo cercare di capire per quale motivo si fosse ridotto in quello stato e i suoi ripetuti "Perdonami, amore" non mi erano di nessun aiuto.»
«Alcuni uomini trovano divertente ubriacarsi in quel modo la notte di Capodanno...»
«Lo aveva già fatto...»
La "Zia" si limitò a sollevare un sopracciglio.
«Una domenica pomeriggio, dopo un pranzo con gli amici. E' venuto a prendermi - e aveva la voce impastata. Rideva per nulla e il suo alito...» Isa sventolò la mano in un gesto inequivocabile.
«Com'è andata a finire?»
«Quella domenica? Mi sono fatta riportare a casa...»
«No, no: la notte di Capodanno, intendo.»
«Si è inginocchiato davanti a me, sul pavimento lercio del gabinetto.»
La "Zia" iniziò a ridacchiare.
«Non ridere! Non c'è niente da ridere... Mi ha preso la mano, chiedendomi ancora una volta perdono. Un gesto melodrammatico e cretino, non trovi? Ero così infastidita! Ho aperto la porta e ho fatto per andarmene, ma lui l'ha richiusa con un colpo secco, violento. Mi sono voltata e l'ho guardato in silenzio, furiosa. Immagina, si è scusato altre mille volte; ma il suo gesto... cielo, mi sono vista come la protagonista di quel libro di Doyle... [1]»
«E non hai torto: lascialo perdere, dammi retta. E non raccontare a M. la storia del bagno e del colpo alla porta, se non vuoi che finisca male.»
«Secondo te ho sbagliato a lasciarlo?»
«No: l'abuso di alcol peggiora le prestazioni sessuali.»

Con la morte di Atena, la situazione si fece ancora più critica. Isa e Mickey rimasero soli, indeboliti dal dolore per la perdita della loro battagliera compagna.
Il Professore e sua moglie non comprendevano l'apatia della figlia; non riuscendo a comunicare con lei verbalmente (giacché Isa era dotata di un carattere spinoso, incline al pianto così come a fragorosi scoppi d'ira), le scrivevano lettere che la facevano sentire in colpa, sciocca ed egoista.
«Mio padre dice che vivo male perché non partecipo alla vita della mia famiglia e non condivido né con lui né con mia madre ciò che mi sta succedendo» raccontò Isa alla "Zia" una sera, mentre sullo schermo del televisore scorrevano i titoli de La signora della porta accanto.
«Com'è giusto che sia: è di cattivo gusto rivelare i propri pensieri ai genitori.»
Ma Isa non possedeva il cinismo della "Zia" e spesso si trovava a combattere contro le lacrime e un debilitante senso di impotenza.
La storia con Emiliano per quanto sincera, profonda e, per un certo periodo, appagante, finì nel silenzio.
A lui successe A., che la "Zia" e M. battezzarono subito "l'Ipocrita" - vago eppure evidente omaggio a Dostoevskij...

Continua...

[1] Il riferimento è a R. Doyle, La donna che sbatteva nelle porte.