mercoledì 27 luglio 2011

Vola solo chi osa farlo

Sogno dell'8 giugno 2011

Nel sogno, Isa si trova nella vecchia casa di Camino; in soggiorno, per l'esattezza, seduta al tavolo intagliato nel legno di pino. I sogni ambientati nella casa di Camino sono sempre molto precisi: Isa non manca di osservare gli sgabelli rivestiti di stoffa a fiori e la tela cerata a quadretti.

Fuori, un rumore di tramestio (come di unghie che grattano le mattonelle autobloccanti) richiama la sua attenzione: una tigre è entrata nel cortile.
A Isa capita spesso di sognare grandi felini affamati. In quel sogno, in particolare, teme che la belva possa fare del male a Mickey.
In effetti, non appena Isa esce precipitosamente di casa (scostando la solita tenda gialla, davanti all'uscio d'ingresso), vede che la tigre lo sta rincorrendo.
Il "piccolo cane rosso" scappa, ma non sembra molto spaventato: non corre, si limita a trotterellare con le orecchie piegate all'indietro, in un'espressione di discreto stupore.
Isa riesce a superare la tigre e a prendere Mickey tra le braccia. Tira un sospiro di sollievo - come se il suo intervento fosse sufficiente a salvarlo.
Sotto il palmo della mano che stringe il torace del cane, sente il suo piccolo cuore pulsare. Abbassa lo sguardo per osservarlo e nota con stupore che si è trasformato in un uccello bianco.
Isa apre allora le braccia e Mickey-uccello vola via...

Quella notte, si svegliò sorridendo. Era un sogno buffo, nel complesso. ("Non è un sogno buffo?" si domandò più volte, mentre tentava di riaddormentarsi.)
Due giorni più tardi, Isa notò nella bocca di Mickey uno strano gonfiore. Il 16 giugno, il cane veniva operato.
«L'avevo sognato, Nyc! L'avevo sognato e non sono riuscita a comprendere!» disse Isa un pomeriggio all'amica.
«O forse non hai voluto comprendere. In ogni caso, anch'io ho avvertito una brutta sensazione riguardo a Mickey, due giorni fa. Non ti ho detto nulla per non preoccuparti, ma l'ho sentita. Ed era netta...»
Isa sospirò, pensando che non sarebbe stata una buona estate...

(«L'eccesso di caldo, comunque, è "Sonno" tanto quanto il cuore dell'inverno, checché se ne dica. Una piccola morte, a tutti gli effetti...»)

domenica 17 luglio 2011

L'equilibrista

Cagliostro era capace di rimanere tranquillo per pomeriggi interi, acciambellato sul divano oppure raggomitolato nel suo cestino; ma, quando decideva che di sonno ne aveva avuto abbastanza e che aveva voglia di giocare, per Clizia cominciava il tormento.
Era divenuta cieca da qualche mese e non amava le novità, il baccano e i gesti troppo impetuosi. Non è difficile immaginare, dunque, quanto nervosismo suscitassero in lei i puntuali attacchi del giovane gatto nero.
Cagliostro attendeva nascosto che Clizia passasse - i giovani muscoli tesi nell'impazienza dello scatto. La gatta si muoveva lentamente, orientando i propri spostamenti per mezzo delle vibrisse e tale studiata lentezza sembrava che stimolasse vieppiù nell'altro l'istinto predatorio.
Non appena Clizia era passata e dava le spalle (ignara) al suo avversario, quello le balzava addosso, sulla schiena, nel tentativo di atterrarla. Gli agguati fallivano sempre miseramente, perché Cagliostro era un gatto atletico, con lunghe zampe affusolate, ma era ancora troppo giovane per avere la meglio sulla pesante mole di persiano di Clizia.
Questi giochi irruenti, tuttavia, gettavano la povera gatta cieca in uno stato di costante allarme. Spesso, per sfuggire all'assalto di quella che Isa aveva preso a chiamare "la Nera Pestilenza", perdeva l'orientamento e andava a sbattere contro il cordolo delle aiuole in cortile oppure contro i mobili del soggiorno.
Isa era in pena per entrambi. Temeva infatti che fossero infelici: Cagliostro perché non aveva nessuno con cui giocare, Clizia perché veniva costantemente aggredita alle spalle.
La soluzione a questo dilemma felino si presentò dodici mesi più tardi.
Un mattino, mentre era al lavoro, Isa ricevette una telefonata di C. «Hanno buttato via una gatta con le sue due piccole» le spiegò concitato. «Nel cortile di Enrico!» (Enrico era un signore ridanciano, che di mestiere faceva l'idraulico e che abitava in una via perpendicolare a quella di Isa e C.)
«Come sarebbe che l'"hanno buttata"?»
«Sì, una macchina! Ha gettato uno scatolone nel cortile di Enrico. Non sono riusciti a prendere il numero di targa...»
«Ma quando è successo?»
«Una settimana fa, più o meno...»
«E le micette? Come stanno?»
«La mamma nella caduta si è rotta una zampa, ma è già stata adottata. Anche una delle sorelline. E' la terza, che non riescono a sistemare. Dicono che fra due giorni la porteranno al gattile di Vercelli...»
Silenzio. Isa aspettò che fosse C. a parlare, poiché lei aveva già preso la sua decisione.
«Cosa dici, andiamo a vederla?»
«Per me va bene. Questa sera?»

La piccola superstite aveva cinque mesi ed era bellissima: interamente tigrata con la punta delle zampette bianca. Nel cortile di Enrico, si rotolava per terra esibendo il pancino immacolato e facendo mille moine, come per conquistare l'attenzione e l'affetto dei visitatori. Isa si accovacciò e la gattina le andò incontro, con la coda diritta. «Ecco, è fatta!» rise forte Enrico. Il giorno dopo, andarono a prenderla con la gabbietta di Clizia e se la portarono a casa.

In quel periodo, Isa stava rileggendo per l'ennesima volta Madame Bovary e così la nuova arrivata non poté che chiamarsi Emma.
Emma fu l'ago della bilancia, tanto che Isa presa a chiamarla "la Rasserenatrice" o (come preferiva) "l'Equilibrista".
Il suo arrivo nella Casa dei Ranocchi mise fine infatti sia alla noia di Cagliostro sia agli agguati ai danni di Clizia. Rispettosa della gatta più anziana al punto da non avvicinarlesi neppure, diventò, in capo a pochi giorni, la migliore compagna di giochi di Cagliostro, liberando Clizia dall'incombenza di essere giocosa quando in nessun modo poteva esserlo.
«Odi et amo!» esclamava Isa ridendo, osservandoli mentre si lavavano a vicenda dopo essersi rincorsi in lungo e in largo per tutto il cortile.


Emma e Mickey.

Due mesi dopo l'arrivo di Emma (dunque a dicembre, pochi giorni prima di Natale), Isa mise fine alla deleteria amicizia col Cappellaio Matto e questo fatto contribuì a rafforzare in lei la convinzione che davvero la piccola gatta grigia, con i "calzini" bianchi, fosse portatrice di serenità e di pace, nonostante l'indole testarda e battagliera.
Per più di un anno, in effetti, l'equilibrio rimase inalterato - fino al primo vero avvenimento doloroso che investì la Casa e i suoi abitanti...

venerdì 15 luglio 2011

Un gatto grigio scuro, quasi nero

Qualche tempo prima che Clizia sviluppasse l'insufficienza renale che la portò alla cecità (cfr. La storia della gatta contesa), C. disse di volere un altro gatto. «Mi piacerebbe un maschio.»
«Un maschio nero» precisò Isa, che per i gatti neri aveva sempre avuto un debole.
Si misero alla ricerca, nonostante sia risaputo che i gatti fanno capolino nelle scialbe vite degli esseri umani quando essi meno se l'aspettano e mai quando desiderano adottarne uno.
Il primo micetto nero che trovarono fu una femmina: nata nella cascina di un agricoltore del paese, era l'unica nera di una cucciolata di tigrati. C. era disposto a transigere sulla questione del sesso ma, quando andò a vedere la cucciolina, si spaventò: era una piccola furia. Durante la sua visita, in pochi secondi riuscì ad arrampicarsi sopra un cactus, ribaltare lo stendibiancheria e ridurre a brandelli un paio di tendine.
«Non possiamo mettere accanto a Clizia un terremoto simile» disse Isa; e Clizia, come se avesse sentito e compreso, entrò nella stanza e andò ad acciambellarsi sul divano con l'espressione più pacifica del mondo dipinta sul muso.
Delusi, accantonarono l'idea di mettersi in casa un nuovo gatto (nero).
L'occasione si ripresentò qualche settimana più tardi quando, parlando con la collega Valeria, Isa apprese che Paola, impiegata presso la biblioteca civica, aveva una passione per i gatti e tre cuccioli da sistemare.
Si accordarono per telefono. «Hai un maschio? C. vorrebbe un maschio...»
«Sì, un maschietto.»
«Ed è buono?»
«Finora non mi posso lamentare. Le sue sorelline... ecco, loro sono più agitate...»
«Il maschietto andrà benissimo. Di che colore è?»
«Grigio scuro, quasi nero.»
«Quando potresti portarmelo?»
«Martedì prossimo, va bene?»
Questa conversazione avvenne di venerdì; nei giorni successivi Isa cercò di immaginare come fosse un gatto "grigio scuro, quasi nero". Nella sua mente, riusciva a visualizzare un gatto grigio, della stessa tonalità color "certosino" di Clizia; poteva vedere un gatto nero - o un gatto tigrato; ma un gatto che fosse "grigio scuro, quasi nero" proprio non riusciva a immaginarlo.
A mezzogiorno di un nuvoloso martedì d'ottobre, Isa lasciò il suo ufficio nel palazzo del Comune (come ormai avrete capito, le attività lavorative della protagonista sono secondarie, in questo racconto, in quanto mutevoli e di breve durata), attraversò il cortile e la via adiacente e, armata di gabbietta, raggiunse la biblioteca civica.
Le colleghe l'accolsero cordialmente, con quella gioia frenetica che precede ogni passaggio di consegne. Il piccoletto era introvabile, perso fra gli scaffali, nella polverosa magia di quel mondo di parole stampate. Lo chiamarono più volte, agitarono il piattino delle crocchette. Alla fine Paola riemerse da dietro la scrivania col suo tesoro: un gattino di quattro mesi con il dorso nero - e le zampette tigrate color fuliggine. Un gatto grigio scuro, quasi nero. Isa lo prese in braccio e si fermò qualche istante a chiacchierare. Lui appoggiò la testolina sul palmo della sua mano e si addormentò.
«Come lo chiamerai?» domandò Paola.
«Ah, non te l'ho detto? Cagliostro. Un gatto nero non potrebbe chiamarsi altrimenti.»


Cagliostro, gatto di biblioteca. Si notino, sullo sfondo, gli scaffali e le copertine di alcuni libri.

Cagliostro si rivelò d'indole vivace ("Nera Pestilenza", amava chiamarlo Isa), ma di buon cuore. Era affettuoso, intelligente e Isa (che nel frattempo era di nuovo rimasta senza lavoro e dunque aveva molto tempo libero a disposizione, da trascorrere insieme ai suoi gatti) prese l'abitudine di fare con lui lunghe conversazioni.
Era dispiaciuta per il fatto che Clizia non avesse accettato di buon grado il nuovo arrivato (ma quale gatto lo fa? Inoltre, nel caso specifico, il nervosismo di Clizia era accentuato dal progredire asintomatico della sua malattia) e tentava di far divertire lei stessa il piccolo Cagliostro - dato che la gatta sembrava non avere nessuna voglia di giocare con lui e lo respingeva soffiando minacciosa - tenendolo sempre accanto a sé.
(Al contrario di Clizia, Mickey non ebbe difficoltà ad accettare il gattino come convivente: appena un paio d'ore dopo il suo arrivo, Cagliostro già rincorreva la coda del "piccolo cane rosso" e cercava di acciuffare con le zampette anteriori le sue lunghe, morbide orecchie pendule.)


Il piccolo cagnolino rosso e la nera pestilenza.

Col passare del tempo (e con l'arrivo di Emma, come si vedrà più avanti), comunque, l'equilibrio andò ricomponendosi: Clizia fu curata per la sua insufficienza renale e diventò più serena e la piccola Emma (adottata a settembre dell'anno successivo) divenne la compagna di giochi prediletta di Cagliostro che, insieme a lei, poté finalmente dare sfogo a tutta la sua vivacità di giovane gatto. Gli agguati ai danni della povera Clizia cessarono e Isa e C. poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Quanto a Cagliostro, Isa ebbe modo di notare - col trascorrere dei mesi e poi degli anni - quanto profondo fosse l'affetto che ormai lo legava a lei. «Gli altri possono essere "i gatti di casa". Ma questo - oh, questo è il mio gatto» amava ripetere Isa, con malcelato orgoglio.
«E menomale che l'ho voluto io!» si lamentava C., notando come Cagliostro si defilasse spesso quando lui lo accarezzava, mentre piegava la testolina in un gesto di inequivocabile infinito amore quando era Isa a dedicargli attenzione. D'altronde, non c'è nulla da fare: se un gatto sceglie di dare fiducia a un essere umano (e solo a quello), difficilmente gli si potrà far cambiare idea.
Cagliostro era bravissimo a captare i sentimenti e i malumori di Isa e a modulare su di essi il proprio comportamento: quando Isa era serena, se ne stava in disparte - anche per pomeriggi interi. Quando, al contrario, lei era malinconica, eccolo arrivare, discreto e silenzioso. Le sue fusa erano impercettibili, il suo tocco delicato. Le appoggiava una zampa sulla gamba, sulle mani, si strusciava contro la sua pancia - e Isa tornava a sorridere.
Quando il "Cappellaio Matto", a Natale del 2010, venne a casa di Isa per fare sfoggio di grettezza ed egoismo, Cagliostro gli dimostrò subito una palese antipatia. Mentre Isa piangeva, seduta sul divano, il gatto si mise accanto a lei, fissando gli occhi verdi in quelli piccoli e poco luminosi dell'uomo. Non si mosse dal fianco di Isa, nemmeno dopo che il "Cappellaio" se ne fu andato. Insieme, donna e gatto, rimasero per più di un'ora a fissare le luci intermittenti dell'albero di Natale, mentre i singhiozzi di Isa andavano calmandosi e il suo respiro si faceva più regolare.
Fu quella triste sera di dicembre che Isa comprese che Cagliostro era il suo "guardiano", capace di cogliere variazioni impercettibili (di qualunque natura esse fossero) e ad accompagnarle verso una tranquilla deriva.
Isa guardava con ammirazione alla dote nascosta del suo unico gatto maschio. (Ogni gatto possiede una dote nascosta e speciale, che non è evidente di primo acchito; per scoprirla, occorre saper osservare con attenzione il proprio felino e attendere con pazienza che abbia raggiunto l'età adulta.)
«Ho penato a lungo, Nyc, ma alla fine l'ho trovato!» disse un pomeriggio all'amica, nel corso di una lunga telefonata.
«Che cosa, cara?»
«Il mio Guardiano di Soglia!»
E così fu decretato: Clizia era "la Veggente"; Cagliostro "il Guardiano di Soglia".

domenica 3 luglio 2011

Nuove stanze

I luoghi non ci appartengono. Siamo noi che apparteniamo ai luoghi, finché possediamo respiro.
Così può accadere che un determinato luogo ci lasci andare, allontanandoci più o meno gentilmente da sé, qualora ci rivelassimo pronti per una nuova destinazione.
E' quanto successe con la Casa dei Ranocchi. Isa l'aveva battezzata così (come forse è già stato raccontato su queste pagine) prima dell'arrivo di Cagliostro e il nome era rimasto, sebbene, dopo due anni di vita del nero felino, di rane ne fossero rimaste veramente poche, nel cortile che s'affacciava sulla roggia.
Inizialmente (e dopo le strenue battaglie ingaggiate contro i nidi di ragno), Isa aveva considerato quella vecchia casa alta e stretta collocata nella periferia del paese (con alle spalle la campagna - e poi il cimitero) un vero e proprio rifugio e come tale l'aveva amata, agghindandone le pareti e le stanze. Non le importava che fosse piccola, umida, che i muri fossero da risanare e il tetto da rabberciare. Né si preoccupava troppo del fatto che la rata d'affitto mensile non avrebbe che aumentato il suo senso di precarietà.
Non so quante altre case avrò. Questa non è casa mia - così come non lo erano le altre in cui ho abitato. E tuttavia vi ho sempre fatto ritorno. Partire è necessario.
Aveva scritto Isa qualche tempo prima sul suo diario. Poi, con il trascorrere degli anni, il suo desiderio (assurdo! Paradossale!) di possedere un "porticciolo di quiete" e l'umidità crescente negli angoli della camera da letto (uniti alle infiltrazioni dal tetto, che nelle notti di temporale inumidivano il letto e la cesta della povera Clizia), spinsero Isa e C. a trovare una nuova sistemazione: più ampia e spaziosa e che potesse dare a entrambi la sensazione di essere più durevoli nel tempo e nel loro affetto.
Dopo una breve ricerca, si imbatterono nella casa di via P. di C.
Fino a qualche decennio prima, la gente del paese la chiamava "la Ca' dal Magu" (la "Casa del Mago"), per via di uno strano personaggio che l'aveva abitata agli inizi del Novecento.
Le ultime proprietarie erano state tre sorelle, che erano solite radunarsi a cucire nella piccola cucina esterna costruita in epoca recente oltre il cortile.
«Tre sorelle?» aveva commentato Cathy quando Isa glielo aveva riferito. «Non lo trovi inquietante?»
In verità, a Isa piaceva l'idea di questa solidarietà femminile di lunga data. Quanto al vecchio adagio sul "lasciare in pace i morti", sapeva bene di averlo trasgredito più volte negli ultimi anni, insieme a Nyc...


Il cortiletto interno della casa di Isa, visto dalla stanza del cucito appartenuta alle Tre Sorelle...

La casa aveva la struttura classica delle vecchie dimore della "bassa": una stretta scala al centro e le stanze disposte simmetricamente ai lati. Due al piano di sotto e due al piano di sopra. La porta-finestra della cucina sbucava sul retro, dove un cortiletto di circa centoquaranta metri quadrati («Qui organizzerò il mio hortus conclusus!» aveva decretato fin da subito Isa) era delimitato da tre muri perimetrali e da una casetta esterna più bassa, comprendente una cucina e un locale che poteva fungere da magazzino. Attraverso un grande portone in legno (allineato con la struttura della cucinetta) si accedeva quindi a un terreno rettangolare di discrete proporzioni (in cui era possibile ricavare un orto e un frutteto), che si affacciava su una stradina sterrata e, oltre, su un boschetto di pioppi.
Isa era stata abituata a vivere in compagnia dei pioppi. C'erano pioppi nei giardinetti cittadini in cui giocava da piccola e c'erano pioppi al di là della roggia, vicino alla Casa dei Ranocchi. «Sono piante molto loquaci» amava dire. Perfino Cagliostro, nei caldi pomeriggi d'estate, si sistemava sul davanzale dello studiolo per decifrarne le profezie.
La dottoressa M. raccomandava prudenza a Isa e a C. e rammentava alla ragazza quanto grande (e distruttivo) potesse essere il suo sconforto nei momenti peggiori.
A Isa non importava. Tutto ciò che desiderava era poter aprire e disfare valigie e bauli, sistemare spazi e armadi... Per poter partire serenamente (qualunque fosse la meta) necessitava di un luogo unico, immutato, a cui ritornare.