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martedì 23 luglio 2013

Tea, la nonnina - Parte seconda

Parte prima

Tea non impiegò molto tempo ad adattarsi alla nuova vita. Nonostante la sua cecità, imparò subito a individuare il punto in cui erano state collocate le ciotole, la lettiera, la cesta imbottita che le era stata riservata...
Aveva le orecchie infestate dagli acari e si sottopose alla cura con pazienza. Il suo pelo fu spazzolato a lungo e presto riacquistò morbidezza e lucentezza.
Ancora oggi, a tre mesi dal suo arrivo nella nostra casa, è una gatta che non cessa di sorprendermi: nonostante gli acciacchi della vecchiaia, alla prima visita medica di controllo è risultata sanissima: fegato e reni funzionano a dovere e il suo enfisema polmonare non desta grandi preoccupazioni.
Nonostante non abbia denti in bocca, mangia senza problemi e con grande appetito - tanto l'umido quanto le crocchette. Adora distendersi sul divano e, sebbene io sia sempre pronta ad aiutarla, ha imparato a scendere e salire da sola - con qualche titubanza, ma senza timore.
E' molto pulita e ogni sera, dopo cena, si lava accuratamente il mantello. Non teme più di tanto gli altri gatti (che la rispettano, girandole al largo come spesso si fa coi "grandi vecchi" e concedendole quasi in esclusiva l'uso del divano [1]), ma non sopporta che le si avvicinino troppo: essendo cieca, non riesce a decifrare il linguaggio del corpo dei suoi coinquilini e così, nel dubbio, quando qualcuno invade il suo spazio, lei lo scaccia con una forte soffiata.
Ha cambiato quasi tutto il folto pelo invernale messo nel periodo in cui si trovava in strada e ora è una splendida morbida miciona: è ingrassata di ben un chilo e ha un muso pieno e rotondo, con, al centro, un minuscolo naso rosa girato all'insù. Noi la chiamiamo "bambolina" e "principessa" e siamo felici di vederla distesa e beata sul divano - al sicuro.

Quando scelsi di adottare Tea, lo feci perché in lei rivedevo molto di Rufus: lo stesso colore del pelo, la stessa fragilità data dall'età avanzata.
Ora però devo ammettere che Tea è molto diversa dal mio vecchietto ipertiroideo. Rufus era una fogliolina sottile; Tea è forte e robusta, nonostante la vecchiaia; Rufy aveva lo sguardo velato dalla malinconia data dal presagio di una fine imminente; Tea sfida ogni acciacco per godersi caparbiamente e nel modo più sereno possibile l'ultima parte della sua vita.
Entrambi hanno sperimentato la crudeltà umana e hanno sofferto - figli abbandonati di un dio minore. Per Tea, tuttavia, sono riuscita a fare qualcosa in più. E questo mi consola. Quando mi reco nel luogo presso le ortensie dove è seppellito Rufus, a volte mi ritrovo a sussurrarglielo: «Tea sta bene, Rufy, non preoccuparti. Sei contento?». Perché di certo, il mio povero vecchio gatto macilento sta ronfando insieme a lei, giorno dopo giorno durante la primavera uggiosa e durante questa estate calda - che non è arrivato in tempo a vedere...

Tea il giorno in cui è arrivata a casa...

(1) L'unico che si avvicina più di quanto agli altri non sia consentito è Richard Parker... ma di lui non ho ancora parlato. E anche questa è un'altra lunga storia...

lunedì 8 luglio 2013

Tea, la nonnina - Parte prima

Molte persone sostengono che i social network siano una perdita di tempo; altri che si tratti di una vera e propria alienazione, che ci spinge a vivere la nostra esistenza dietro a un monitor.
Per quello che mi riguarda, credo di usarli nella giusta maniera e nelle dosi corrette. Quando non mi va di parlare, quando non voglio esserci, spengo tutto e mi allontano: non ci sono telefoni cellulari né computer che possano trattenermi. Stacco e me ne vado. Ciao-ciao. Per non vedere e non ascoltare. Per non sottrarre tempo ai libri o ai vecchi film o alle piccole cose che scrivo - e che non finisco.
A volte, però, capita che perfino sui social network si presenti un'occasione: unica, irripetibile, bellissima.
L'appello dedicato a Tea continuava a comparire sulla mia home page e io seguitavo a leggerlo e rileggerlo: «E' stata trovata domenica a Spoleto. Ora è in stallo, ma ha bisogno di una super adozione. Quando è stata soccorsa, aveva le orecchie piene di acari; le unghie troppo lunghe, conficcate nei cuscinetti; un solo dente in bocca. E' anziana ed è anche cieca e, nonostante tutto, è una dolcezza di gatta».

Tea, pochi giorni dopo il suo ritrovamento
Quegli occhi velati, l'idea che (così fragile) fosse stata lasciata in mezzo a una strada... continuavano a tormentarmi. Lo stesso tipo di richiamo che non mi dava pace quando Rufus si trovava (macilento e disperato) al gattile.
Così (dopo una breve consultazione con C.) chiamai il numero di telefono pubblicato nell'appello. La ragazza che mi rispose (presso la quale la "nonnina" si trovava in stallo) era gentile, onesta, affezionata alla micia, eppure impossibilitata a tenerla.
Con solerzia e rapidità contattò la staffetta che avrebbe dovuto condurre Tea in Piemonte e mi comunicò la data dell'arrivo: sabato 23 aprile.
Tea giunse intorno alle cinque del pomeriggio, dopo un viaggio interminabile, chiusa in un trasportino, insieme ad altri gatti e ad alcuni cani, nel retro di un furgoncino bianco. Era una giornata fredda e piovosa. Nel luogo dell'appuntamento, oltre a me e a C., c'era anche una famigliola che stava aspettando un cagnolino.
I ragazzi della staffetta furono puntualissimi. Non appena fermarono il furgone e ne aprirono il retro, io (che già avevo preparato una gabbietta pulita, panni e salviette) mi precipitai a ricevere la mia randagina. Ringraziai frettolosamente (forse mi dimostrai poco cortese verso i presenti) e mi chiusi in macchina: la povera gatta era tutta sporca di urina, spaesata dopo un trasporto così lungo. Tuttavia, non appena allungai una mano per farle una timida carezza, lei abbandonò subito la testolina contro il mio palmo, ronfando sonoramente. Senza timore, con una fiducia disarmante e commovente.
Quando anche C. risalì in auto, la pulimmo per bene con le salviette e gli asciugamani che avevamo portato: Tea non smetteva di strusciarsi contro le nostre mani e le nostre gambe, mostrandoci in questo modo tutta la sua gratitudine.
Considerata la sua docilità, decidemmo che avrebbe potuto compiere il resto del viaggio (una mezz'oretta d'auto fino a casa) fuori dal trasportino. La avvolsi in una copertina e me la sistemai sulle ginocchia. Tea, esausta, vi si adagiò e, continuando a fare le fusa, presto si addormentò.
Emozionata, continuavo a ripetere a C. che non avevo mai visto una gattina tanto brava e giudiziosa e che era stata una crudeltà terribile abbandonarla in questo stato al suo destino...

Continua...

mercoledì 22 agosto 2012

Delle zanzariere rotte, della fiducia e della malinconia sottile di fine estate

Molti sono convinti che il gatto sia un animale incapace di provare affetto e che tutta la sua vita emotiva si riduca a qualche coccola interessata, prodigata per ottenere ciò che desidera: cibo, un tetto sulla testa oppure una ciotola d'acqua.
Questo modo di considerare un animale bellissimo (non vi sono altri aggettivi possibili) qual è il gatto la dice lunga sulla pochezza di gran parte del genere umano.
Personalmente non ho mai creduto all'opinione comune del gatto individualista e anaffettivo: tutti i gatti che ho conosciuto, fin da piccina, dimostravano nei miei confronti un sincero attaccamento; forse meno evidente e chiassoso rispetto a quello di un cane - ma in ogni caso innegabile. Perciò, crescendo, sono rimasta colpita nel constatare che i gatti vengono tutt'ora considerati con sospetto e malignità - e questo a dispetto della loro delicatezza e della loro incapacità di difendersi.
Anche ammesso che si possa restare insensibili al potere ipnotico e terapeutico del suo ronfare, alla lucentezza dei suoi occhi di smeraldo e citrino, alla morbidezza setosa del suo manto caldo e pulito - al di là di tutto questo... che male potrà mai fare, un gatto?
Invece, alcuni (di certo uomini e donne che hanno ben poco a cui pensare nel corso delle loro giornate) paiono convinti che questi animali siano responsabili di crimini imperdonabili (come calpestare le aiuole, scavare per ricoprire i propri bisogni ed essere veicolo di non si sa quali malattie) e si sentono autorizzati - in nome di queste convinzioni - a muovere una vera e propria guerra quotidiana ai gatti: li aspettano nascosti dietro alle persiane socchiuse per spaventarli, colpirli con la scopa o con getti d'acqua gelata; boicottano il lavoro delle gattare, riempiendo di benzina le ciotole del cibo; scrivono pamphlet dai toni acidi, prendendosela non solo con i gatti, ma anche con chi li ama («Questo articolo non mi renderà popolare tra gli amanti dei gatti, ma del resto coloro che amano i gatti sono solitamente delle ciccione con i capelli unti che puzzano di piscio di gatto e quindi chissenefrega. Ah no, dimenticavo anche i gay o gli uomini single che non hanno nessuna che li si fila. Beh… pazienza anche per loro. Ma è giunto il momento che qualcuno lo dica: IO ODIO I GATTI» mi è capitato di leggere un giorno, con raccapriccio, sul Web [1]). I peggiori, infine, arrivano addirittura alla violenza, picchiando o uccidendo queste bestiole discrete che, in genere, ben poco si curano delle idiosincrasie umane e gradirebbero solo essere lasciate in pace.
Ripenso alle strane opinioni che molta gente aveva su questi animali: erano creature egoiste e incapaci di offrire l'amore disinteressato di un cane. Erano creature indipendenti e circospette che badavano solo al proprio interesse. Che sciocchezza! Mi sono sentito sfregare la faccia da musi di gatto e sfiorare la guancia da zampine con le unghie accuratamente ritratte. Queste, a parer mio, sono espressioni d'amore. (2)
Pochi giorni fa, ho assistito alla dimostrazione concreta di quanto sia infondato il luogo comune secondo cui i gatti sarebbero incapaci di stabilire con i propri compagni umani un rapporto d'amore, fiducia e collaborazione.
Con l'arrivo dell'estate e della canicola, nella nostra piccola casa sul canale abbiamo aperto tutte le finestre, abbassando le zanzariere per proteggerci dai numerosi insetti provenienti dalle risaie.
Inutile precisare che le nostre reti sono tutte graziosamente "ricamate" dalle unghie dei gatti, che - col trascorrere dei mesi primaverili ed estivi - si sono aperti in esse dei piccoli varchi per accedere ad entrambi i cortili.
Così, C. ha pensato di costruire delle seconde zanzariere, fisse, da applicare in aggiunta a quelle scorrevoli già esistenti, in modo da avere un controllo (illusorio!) sulle entrate e le uscite dei nostri amati felini.
Né lui né io avremmo mai pensato che Victor (l'atletico e nerboruto ex-randagio) sarebbe riuscito a rompere anche quelle...
In particolare, un mattino d'agosto Victor-Vittorio decise di rientrare dalla sua passeggiata saltando dal muretto di recinzione del cortile posteriore alla finestra del bagno - credendo che i vetri fossero aperti e la zanzariera facilmente sollevabile. Per contro, una volta spiccato il balzo, si trovò davanti la seconda zanzariera costruita da C., ancora abbastanza integra - nonostante i precedenti assalti di Matilde. Victor vi rimase aggrappato, con uno spazio esiguo per appoggiare le zampe posteriori.
Richiamata dai rumori provenienti dal bagno, andai a vedere cosa stesse succedendo: trovai parte della rete di protezione rotta e ripiegata su se stessa come la pagina di un libro sfogliato e il mio gattone bianco e nero appeso a quanto ne restava, con le zampette che scivolavano sul vecchio intonaco del davanzale. Sul suo musetto serio, un'espressione di evidente preoccupazione: non era un gran salto, di certo non pericoloso per un gatto tanto agile (il bagno si trova al primo piano), ma era evidente che Victor preferiva risparmiarselo.
Mi sono avvicinata lentamente, riflettendo sul da farsi: Victor è un gatto nervoso - che non ha ancora imparato a fidarsi del tutto degli esseri umani. Lo spaventano i rumori e i gesti improvvisi e non gli piace essere manipolato. Ho pensato che, se avessi sollevato la zanzariera interna e tentato di prenderlo in braccio per portarlo al sicuro, avrebbe potuto fraintendere le mie intenzioni, reagire con violenza e andare incontro a una caduta peggiore rispetto a quella che gli sarebbe comunque toccata in sorte, non appena avesse esaurito le forze. Tuttavia, Victor mi stava fissando in maniera eloquente, chiedendomi aiuto e, perciò, senza esitare ancora, sganciai la zanzariera interna, la feci salire e abbassai la rete (già rotta) della seconda, per dare al gatto un appiglio migliore. Quindi gli misi una mano sulle spalle. Victor non si mosse e io riuscii ad afferrarlo saldamente, a sollevarlo e a trasportarlo dentro la stanza. Da parte sua, nessuno scatto, nessun tentativo di liberarsi: anzi, per qualche minuto restammo abbracciati - io con le mani intorno al suo corpo morbidissimo e lui con la testa abbandonata sulla mia spalla, a respirare con affanno, a causa dello sforzo sostenuto.
Semplicemente, il mio bel gattone indipendente aveva deciso di fidarsi di me nel momento del bisogno e di credere, senza alcuna reticenza, che io lo avrei tratto in salvo, senza tradire il suo affetto.
Fu un momento di grande tenerezza e, per me, di profonda soddisfazione.
Mi tornarono alla mente le belle parole di Doris Lessing, scritte in conclusione del suo Particularly Cats:
Quando si conoscono i gatti, quando si è passata una vita insieme ai gatti, quel che rimane è un fondo di sofferenza, un sentimento del tutto diverso da quello che si deve agli umani: un misto di dolore per la loro incapacità di difendersi, e di senso di colpa a nome di tutti noi. (3)
In fin dei conti, che cos'è il nostro amore per i gatti - per gli animali - se non una parentesi di affetto, scritta e mantenuta nel silenzio. Eppure a me piace pensare che siano questi piccoli gesti di ogni giorno a rendere migliore la mia realtà, la mia vita da nulla - e quindi, seppure in minima parte, anche la vita di questo grande, stupido e magnifico mondo.

(1) Dal sito Latitanza.it.
(2) J. Herriot, Cat Stories, trad. it. Storie di gatti, BUR, Milano 2010, p. 9.
(3) D. Lessing, Particularly Cats, trad. it. Gatti molto speciali, Feltrinelli, Milano 2008, p. 161.

giovedì 12 gennaio 2012

Victor, il pirata - Parte prima

I gatti amano tenerci sulle spine - Isa ne era convinta.
Non aveva forse dedicato interi pomeriggi nel tentativo di preparare Atena all'arrivo di Mickey? Quando il Professore e sua moglie non erano in casa, Isa vi portava il cagnolino, apriva poco alla volta la porta del bagno (regno incontrastato della gatta matrona) e permetteva alla bellicosa di sbirciare dalla mensola del termosifone lo sguardo angelico del suo futuro coinquilino. (Consapevole del fatto che fosse Atena a comandare in quella casa, Mickey rivolgeva a lei tutte le sue speranze di ospite di un canile sovraffollato...)
"Chissà come la prenderà" pensava Isa, mentre il giorno dell'adozione definitiva di Mickey si avvicinava. "Gli farà del male? Lo graffierà?"
Era tanto angosciata al pensiero della possibile reazione funesta di Atena che rimase di stucco - letteralmente - quando la gatta, la sera in cui Mickey fece il suo ingresso nella casa del Professore, non si degnò neppure di voltarsi verso il nuovo arrivato, preferendo di gran lunga dedicarsi alla distruzione di uno scatolone, ultimo residuo delle festività natalizie appena trascorse. Fra Mickey e Atena, il patto di non belligeranza durò quattro anni - fino alla morte di lei.
Anni dopo, con Emma, Isa aveva temuto di complicare una situazione già di per sé difficile - quella fra Clizia (cieca e ammalata d'insufficienza renale cronica) e Cagliostro: introdurre un terzo gatto non sarebbe stato un azzardo? Il risultato fu un equilibrio perfetto e un amore grandissimo fra Cagliostro e la piccola "equilibrista" dalle zampe bianche. Crescendo, Cagliostro si era rivelato d'animo contemplativo, mentre Emma, al contrario, affrontava la vita con coraggio e ardimento, allo stesso modo in cui non sapeva rinunciare alle sue scorribande sui tetti, fra la polvere e i piccioni: le loro nature opposte sembravano completarsi e trovare reciproca soddisfazione.
Tuttavia, proprio a causa della vivacità di Emma, Isa era stata incerta, al momento di adottare Matilde, se scegliere una femmina oppure un maschio. Al gattile di Stefania, dopotutto, c'era l'imbarazzo della scelta - e "Fenomeno" era un meraviglioso maschietto tigrato, che sembrava intenzionato a conquistare il cuore di C.
Combattuta, aveva riflettuto in fretta - e infine aveva deciso che Emma, dopotutto, aveva un cuore tenero sotto la sua scorza da avventuriera e non avrebbe avuto problemi ad accettare in casa la piccola e delicata Matilde. Oltretutto, una vocina interiore le suggeriva che Cagliostro (il Principe, il Preferito) mal avrebbe accettato l'arrivo di un concorrente.

A proposito del suo prediletto, Isa scriveva sul diario:
Cagliostro è molto cambiato, nell'ultimo anno. E' meno esuberante, meno chiassoso. Ha mantenuto la sua voce poderosa, acuta, ma ora la usa con ponderazione. Colloquia con me quando siamo soli - o quando ce n'è veramente bisogno.
Sono meno frequenti anche le sue manifestazioni d'affetto. Da piccolo, ronfava sonoramente non appena veniva accarezzato. Oggi preferisce reclinare la testolina con gentilezza ogni volta che riceve un complimento, riservando le fusa (leggere, più simili a un fruscìo che a una vibrazione) per la notte quando, nel buio della camera da letto e lontano dalle orecchie indiscrete degli altri gatti, sa di potersi abbandonare a un'affettuosità tangibile. A volte, il tocco aggraziato della sua zampa sul mio viso o il suo piccolo naso umido contro il mio si confondono coi sogni - o mi ridestano da incubi paurosi...
Cagliostro & Emma
Così era Cagliostro, che Isa amava altresì definire il suo "guardiano".
Victor era il suo esatto opposto. Arrivato nel cortile di Isa una sera d'estate (mentre la donna, stirando, stava guardando Frankenstein Junior: fu questa coincidenza a valergli un nome altisonante), era un gatto randagio e diffidente, col naso graffiato e l'occhio destro che lacrimava, striando di scuro la parte bianca della "mascherina" che portava sul muso. Il suo corpo - per quanto denutrito - era poderoso, ben piantato sulle zampe robuste. "Un misto tra il goffo e il bravaccio" pensò Isa, citando mentalmente la satira di Rajberti. (1)
Era affamato, ma non per questo disposto a rinunciare alla circospezione cui era avvezzo. Si faceva notare da Isa attraverso il vetro della cucina ma, non appena lei usciva per riempirgli la ciotola, il gattone faceva una piccola fuga, ponendosi in sicurezza dietro all'elleboro.
«Non ti fidi proprio di me, vero, micio-micione?»
Il gatto preferiva non rispondere.
Quel balletto andò avanti per mesi. Isa usciva in cortile, riempiva la ciotola e Victor si allontanava, mettendosi a mangiare solo dopo che la donna fosse rientrata in casa. Una sera, però, Isa decise di non andarsene e di sedersi sulla sedia sdraio. Victor la osservò perplesso da dietro le foglie dell'aquilegia: non l'aveva previsto. Le rivolse un debole miagolio (la sua voce era così delicata, in confronto al richiamo imperioso di Cagliostro!), come per dirle: "Avanti, vattane. Non lo sai che non posso mangiare, se non te ne vai?", e si mise anch'egli seduto, in attesa.
Ma Isa non sembrava intenzionata ad andarsene e così Victor, dopo molti tentennamenti, piccole corse fra le ortensie e qualche colpo di coda sulla polvere, decise di avvicinarsi comunque alla ciotola.

Continua...

(1) G. Rajberti, Il gatto, 1846, ECIG, Genova 1991, p. 90.

venerdì 11 novembre 2011

I gatti di Michel Leu

Happy Work for Happy People


 

Le annotazioni sul diario di Isa, a proposito dei gatti di Michael Leu

Colorati, sonnolenti, compagni fedelissimi (e silenziosi, viene da pensare osservandoli) delle donne insieme alle quali vengono ritratti, i gatti di Michael Leu trasmettono una sensazione di pace - protagonisti come sono di un'esistenza condotta all'insegna della lentezza, dell'eleganza e della contemplazione.
Eccoli, dunque, addormentati placidamente fra le braccia delle loro amiche e complici (in campagna, sopra un divano, davanti alla Tour Eiffel...) oppure presenze delicate nel corso di tea time all'aperto (pare che splenda sempre il sole, nelle opere di Leu), apéritif parigini e rêverie al chiaro di luna. A tale proposito non si può non notare l'evidente familiarità dei piccoli felini con l'elemento femminile e lunare, di cui appaiono quale naturale complemento - autentica summa dell'equilibrio proposto da Leu nelle sue tele.
Tutto suscita un senso di benessere, un sorriso, [...] un piacevole istante, una più ampia comprensione di ciò che ci circonda... (Dall'introduzione del sito di Michael Leu.)

venerdì 24 dicembre 2010

Solidarietà femminile

Solo le parole di un'altra donna potevano lenire il dolore provocato in me dalle ferite inflitte dalla superficialità maschile.

domenica 5 dicembre 2010

Solo per la bellezza delle parole

Il mio amore per te è tutto da rifare e da riscrivere. Gli amori non corrisposti dovrebbero essere vietati per legge: generano troppo dolore, rancore, insoddisfazione.
Perché io ti amo, questo è sicuro; né riesco ad attenuare questa smania che mi spinge ogni giorno verso di te. Mentre tu non provi altro che una vaga affezione per la bellezza delle mie parole.

giovedì 14 ottobre 2010

"Lei non vuole che scriva..."

Oggi ho rivisto, in unica giornata, alcuni dei miei migliori amici. Tutti i miei migliori amici, potrei dire, ad eccezione della Zia e di M.: ma il sentimento che mi lega a loro due, si sa, possiede la sfumatura grigia e malinconica determinata dalla lontananza.
Pranzo con Cathy, a discutere di borse, libri, frasi celebri e patemi. (Il Cappellaio è silenzioso; e il lato positivo del mio periodo di disoccupazione è che posso andare a pranzo fuori senza essere costretta a tenere d'occhio l'orologio.)
Nel pomeriggio, una capatina a sistemarmi i capelli, da Marina. Anche se mi sono trasferita dalla città al paese, lei rimane sempre la mia parrucchiera di fiducia. Perché li capisce, i miei capelli neri, lisci e così vaporosi.
(Era una frase di Laura. Laura che è sempre stata tanto bella e afflitta. Disse un giorno, seduta sul divano di mia madre: «Ho trovato finalmente una parrucchiera che mi capisce i capelli!». Pronunciò quelle parole con gioia reale. Perché i capelli devono essere compresi e amati: sono legacci forti, potenti, come ci insegna Medusa...)
E poi rivedere Luna, senza preavviso, dopo settimane. Parlare come non si faceva da tempo. Discutere di tutte quelle cose che, a lungo andare, fanno dolere la gola. Pensare a cosa ci riscalderà il prossimo inverno... Se mai qualcosa potrà riscaldarci. Ho paura dell'inverno e...

Emma (la gatta, la gatta! Della Bovary, oggi, mi sono dimenticata...) passeggia sulla tastiera con fastidiosa insistenza. L'ho già allontanata più e più volte. L'ho spinta via, con malagrazia. «Emma, piantala. La smetti? Lasciami scrivere!»
Niente da fare. Si è sistemata, seduta, fra me e la tastiera del computer, ronfando sonoramente e fissandomi con quei suoi occhi verdi elegantemente truccati (almeno così pare!) appena dischiusi.
E' evidente che non vuole che vada oltre - coi pensieri e con le parole. Non è necessario evocare anzi tempo la tristezza dell'inverno, il dolore insito in ogni lontananza, il timore (autunnale, appena sussurrato, come accade con l'ansito dei morti) di perdere le persone amate...
"Non ha senso", mi dice Emma.
E allora basta. Vado nel letto, a leggere Dracula di Bram Stoker. Vivide letture per sogni avventurosi. Niente altro.

domenica 10 ottobre 2010

Dell'ossessione amorosa

(Dove si pongono le basi di tutti gli scritti raccolti nel presente quaderno...)

Qualcuno ha scritto che il sesso non sarebbe altro che «l'anestetico che rende sopportabile la carne di un altro essere». Il che ridurrebbe l'amore fisico a una necessità imprescindibile: il desiderio, che né uomini né donne possono soffocare, di unirsi a qualcun altro per trovare pace e appagamento.
Questa smania spiegherebbe altresì l'ossessione del possesso quando, dal meccanico atto sessuale, si passa alla volontà testarda di apporre un marchio sull'anima dell'oggetto amato, sui suoi pensieri, sugli atti da lei o da lui compiuti in assenza dell'amante.
L'amore passionale è la sublimazione dell'egoismo, il tentativo - il più delle volte destinato al fallimento - di colmare un'assenza perpetua con la ripetizione compulsiva del proprio sentimento.
Il verbo "amare" viene declinato attraverso ogni sfumatura concepibile, passa attraverso la gioia sublime dell'unione e la disperazione scaturita dall'incomprensione; finché scrivere non diviene inevitabile. Attraverso la ripetizione delle parole che, come un incantesimo, irretiscono la mente di amato e amante, amore e frenesia si acuiscono e si rafforzano, assurgendo allo stato di unico cosmo - caotico ad occhi estranei, perfettamente coerente per gli innamorati testardi.