domenica 3 luglio 2011

Nuove stanze

I luoghi non ci appartengono. Siamo noi che apparteniamo ai luoghi, finché possediamo respiro.
Così può accadere che un determinato luogo ci lasci andare, allontanandoci più o meno gentilmente da sé, qualora ci rivelassimo pronti per una nuova destinazione.
E' quanto successe con la Casa dei Ranocchi. Isa l'aveva battezzata così (come forse è già stato raccontato su queste pagine) prima dell'arrivo di Cagliostro e il nome era rimasto, sebbene, dopo due anni di vita del nero felino, di rane ne fossero rimaste veramente poche, nel cortile che s'affacciava sulla roggia.
Inizialmente (e dopo le strenue battaglie ingaggiate contro i nidi di ragno), Isa aveva considerato quella vecchia casa alta e stretta collocata nella periferia del paese (con alle spalle la campagna - e poi il cimitero) un vero e proprio rifugio e come tale l'aveva amata, agghindandone le pareti e le stanze. Non le importava che fosse piccola, umida, che i muri fossero da risanare e il tetto da rabberciare. Né si preoccupava troppo del fatto che la rata d'affitto mensile non avrebbe che aumentato il suo senso di precarietà.
Non so quante altre case avrò. Questa non è casa mia - così come non lo erano le altre in cui ho abitato. E tuttavia vi ho sempre fatto ritorno. Partire è necessario.
Aveva scritto Isa qualche tempo prima sul suo diario. Poi, con il trascorrere degli anni, il suo desiderio (assurdo! Paradossale!) di possedere un "porticciolo di quiete" e l'umidità crescente negli angoli della camera da letto (uniti alle infiltrazioni dal tetto, che nelle notti di temporale inumidivano il letto e la cesta della povera Clizia), spinsero Isa e C. a trovare una nuova sistemazione: più ampia e spaziosa e che potesse dare a entrambi la sensazione di essere più durevoli nel tempo e nel loro affetto.
Dopo una breve ricerca, si imbatterono nella casa di via P. di C.
Fino a qualche decennio prima, la gente del paese la chiamava "la Ca' dal Magu" (la "Casa del Mago"), per via di uno strano personaggio che l'aveva abitata agli inizi del Novecento.
Le ultime proprietarie erano state tre sorelle, che erano solite radunarsi a cucire nella piccola cucina esterna costruita in epoca recente oltre il cortile.
«Tre sorelle?» aveva commentato Cathy quando Isa glielo aveva riferito. «Non lo trovi inquietante?»
In verità, a Isa piaceva l'idea di questa solidarietà femminile di lunga data. Quanto al vecchio adagio sul "lasciare in pace i morti", sapeva bene di averlo trasgredito più volte negli ultimi anni, insieme a Nyc...


Il cortiletto interno della casa di Isa, visto dalla stanza del cucito appartenuta alle Tre Sorelle...

La casa aveva la struttura classica delle vecchie dimore della "bassa": una stretta scala al centro e le stanze disposte simmetricamente ai lati. Due al piano di sotto e due al piano di sopra. La porta-finestra della cucina sbucava sul retro, dove un cortiletto di circa centoquaranta metri quadrati («Qui organizzerò il mio hortus conclusus!» aveva decretato fin da subito Isa) era delimitato da tre muri perimetrali e da una casetta esterna più bassa, comprendente una cucina e un locale che poteva fungere da magazzino. Attraverso un grande portone in legno (allineato con la struttura della cucinetta) si accedeva quindi a un terreno rettangolare di discrete proporzioni (in cui era possibile ricavare un orto e un frutteto), che si affacciava su una stradina sterrata e, oltre, su un boschetto di pioppi.
Isa era stata abituata a vivere in compagnia dei pioppi. C'erano pioppi nei giardinetti cittadini in cui giocava da piccola e c'erano pioppi al di là della roggia, vicino alla Casa dei Ranocchi. «Sono piante molto loquaci» amava dire. Perfino Cagliostro, nei caldi pomeriggi d'estate, si sistemava sul davanzale dello studiolo per decifrarne le profezie.
La dottoressa M. raccomandava prudenza a Isa e a C. e rammentava alla ragazza quanto grande (e distruttivo) potesse essere il suo sconforto nei momenti peggiori.
A Isa non importava. Tutto ciò che desiderava era poter aprire e disfare valigie e bauli, sistemare spazi e armadi... Per poter partire serenamente (qualunque fosse la meta) necessitava di un luogo unico, immutato, a cui ritornare.

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