Il caldo di quegli ultimi giorni di giugno era snervante.
Al rifugio dell'ex ospedale psichiatrico, i gatti erano litigiosi e inquieti. A casa, Cagliostro, Emma, Matilde e Vittorio si sdraiavano silenziosi negli angoli più freschi e spiluccavano il cibo distratti.
In ogni caso - fosse per l'afa o a causa della lentezza con cui (non) procedevano i lavori di ristrutturazione della nuova casa - Isa sentiva di essere particolarmente irritabile e mal disposta verso tutti coloro che si permettevano di farle la predica o di interferire in qualche modo con la sua vita.
Il guaio era che di persone di tal risma è pieno il mondo - e Isa avrebbe dovuto sapere che abbassare la guardia è pur sempre rischioso.
Nel giro di un paio di settimane, fu spettatrice attonita di una serie di sgraditi eventi: dalle proposte assurde di infidi parenti ai commenti indesiderati di un'(ex) amica rediviva, passando per i cacciatori che (fuori stagione e in pieno centro abitato) si permettevano di portare i loro sgraditissimi fucili a breve distanza dal giardino di Isa, nel detestabile tentativo di stanare e uccidere una povera volpe che non aveva mai dato fastidio a nessuno.
Per mitigare questo crescente nervosismo, Isa si dedicava al cucito - un'attività che le permetteva di tenere le mani e la mente impegnate e che le consentiva di starsene seduta tranquilla, nel fresco soggiorno della Casa dei Ranocchi.
Cagliostro come sempre le faceva compagnia - unico fra i quattro gatti che non tentasse di lacerare la stoffa su cui la donna stava lavorando e non rubasse i rocchetti di filo. Spesso il gatto si sedeva sulla finestra della cucina e trascorreva ore intere a osservare i campi che si estendevano oltre il cortile. A volte, però, decideva di andare a curiosare che cosa stesse facendo la sua amatissima compagna umana e allora si sistemava composto sul tavolo - la coda ben ripiegata sulle zampe, il collo e la testa diritti. In quei momenti, era di un'eleganza impeccabile - e lui, ovviamente, lo sapeva benissimo.
Fu in uno di quei pomeriggi che Isa si lasciò scappare un sospiro e un'esclamazione spazientita. Aveva appena finito di raccontare al gatto le ultime nequizie in cui era incappata e ora si stava dedicando con particolare tenacia a tagliare l'imbastitura della gonna nera a cui lavorava.
«Ti invidio, lo sai?»
Cagliostro socchiuse gli occhi color smeraldo, come a dire che, sì, lo sapeva.
«Tu riesci a non lasciarti coinvolgere troppo dalle cose... riesci a tenere tutti a debita distanza, pur continuando ad amare e ad essere amato.»
Era vero: Cagliostro (non a caso ribattezzato da Isa "il Guardiano di Soglia") era maestro più di ogni altro gatto nella sublime arte del distacco.
Non era un gatto "freddo" né selvatico. Semplicemente non amava chi (animale o umano che fosse) non sapeva stare al proprio posto e chiunque gli rivolgesse complimenti non desiderati o si azzardasse a disturbare il suo riposo.
Victor-Vittorio, da bravo ex randagione, era più incline a sopportare le effusioni di Isa e degli altri gatti, privato com'era stato per diversi anni di qualsiasi contatto affettuoso. Matilde era dolce e mite e non si ribellava mai alle grattatine sulla testa o alle carezze sui fianchi. Se attaccata dagli altri gatti, dopo aver assestato qualche decisa zampata, semplicemente andava a nascondersi sotto il tavolino del soggiorno. Quanto a Emma, lei era troppo combattiva per evitare di gettarsi nella mischia. Così, non di rado finiva col buscarle di santa ragione - e allora batteva in ritirata miagolando furibonda.
Solo Cagliostro riusciva ad essere (con estrema naturalezza) amatissimo e al tempo stesso insopportabile; pignolo e adorabile; distaccato, lontano e, al contempo, vicinissimo a tutti gli abitanti della casa...
Isa non scherzava, quando diceva di invidiarlo.
Le tornava in mente il saggio sulla scrittura di Anne Lamott, letto in quei giorni e che ancora faceva bella mostra di sé sul comodino da notte: «Non bisogna sprecare la vita con persone che ci tengono col fiato sospeso (2)», sosteneva la scrittrice americana. E Isa era convinta di aver concesso a simili individui buona parte della propria esistenza. Era arrivato il momento di cambiare. Era giunto il momento di prendere a modello i gatti che (seppure in maniera diversa) non rinunciavano mai a difendere i loro spazi e la loro dignità.
(1) A. Lamott, Bird by bird. Some instructions on writing and life, trad. it. Scrivere, DeAgostini, Novara 2011, p. 176.
venerdì 29 giugno 2012
giovedì 14 giugno 2012
I gatti dell'ex manicomio - Parte terza
♦ Parte seconda ♦
... "certe questioni", tuttavia, esercitavano da sempre su Isa una malìa bizzarra.
Perciò, durante uno dei giovedì mattina trascorsi con Federica a ripulire le stanze del primo padiglione, Isa raccontò all'amica quanto letto in rete e sui giornali.
«Lo sapevo» rispose Federica, armata di guanti e spazzolone, continuando a lavorare. «Sai, qui le voci corrono... Noi» (e con "noi" intendeva il piccolo drappello di disciplinatissime gattare che gestiva la colonia da molto tempo prima dell'arrivo di Isa) «questo posto lo abbiamo girato in lungo e in largo: siamo state nei padiglioni più diroccati, nelle cantine, nelle soffitte... Non abbiamo mai visto niente. Niente di niente. Né ci è mai successo nulla.»
Isa sorrise, pensando di essersi lasciata suggestionare. Stava quasi per cambiare argomento, quando Federica aggiunse: «Per quanto... quando i gatti erano nell'altro padiglione (quello più in fondo... sai che abbiamo dovuto spostarli - te l'ho già raccontato)...»
«Che cosa è successo?»
«Ecco, c'erano alcuni gatti che non volevano stare di là. E altri che si comportavano in modo strano.»
«Ad esempio?»
«Ad esempio Pelliccia: lei non si lasciava toccare, quando eravamo nell'altro padiglione. Poi, quando l'abbiamo trasferita qui, insieme agli altri, è cambiata - da così a così.» E fece un gesto eloquente con la mano.
Isa conosceva bene Pelliccia, una vecchietta a pelo lungo, tigrata e affettuosissima: era tra le sue preferite, fra loro si era creata una simpatia istantanea, un'adorazione reciproca fatta di miagolii soffocati e parole pronunciate sottovoce.
Pelliccia seguiva Isa ovunque e, non appena la donna si sedeva su una sedia o sulla panchina del giardino, la gatta non esitava a sistemarsi sulle sue ginocchia, ronfando sonoramente.
Isa non riusciva proprio a immaginare una Pelliccia schiva e selvatica e non riusciva a capire come un semplice trasloco avesse potuto renderla la gatta tranquilla e socievole che conosceva.
«A meno che tu non captassi qualcosa, con quelle tue vibrissette!» le disse scherzosa, mentre le accarezzava la schiena, tornando col pensiero al bisnonno Carlo e ai soldati uccisi.
«Comunque, è per via dell'eccidio... Quello dei soldati fascisti. Dicono che li abbiano seppelliti qui. Non sai quanto è grande, questo posto.»
Isa, in effetti, non ne aveva che una vaga idea. Si ripromise, perciò, di effettuare il prima possibile un giro di ricognizione di tutta la struttura e del parco che la circondava, armata di macchina fotografica e di blocchetto per gli appunti.
Dopotutto, in quel vecchio ospedale psichiatrico era racchiuso anche un pezzo della sua storia familiare.
«Che cosa dici, Pelliccetta? Andiamo in esplorazione?» domandò alla gatta, in piedi di fronte a lei sopra il tavolino del corridoio. La gatta le rispose con un miagolio appena accennato, fissandola intensamente con l'occhio buono che le era rimasto...
♦ Continua... ♦
... "certe questioni", tuttavia, esercitavano da sempre su Isa una malìa bizzarra.
Perciò, durante uno dei giovedì mattina trascorsi con Federica a ripulire le stanze del primo padiglione, Isa raccontò all'amica quanto letto in rete e sui giornali.
«Lo sapevo» rispose Federica, armata di guanti e spazzolone, continuando a lavorare. «Sai, qui le voci corrono... Noi» (e con "noi" intendeva il piccolo drappello di disciplinatissime gattare che gestiva la colonia da molto tempo prima dell'arrivo di Isa) «questo posto lo abbiamo girato in lungo e in largo: siamo state nei padiglioni più diroccati, nelle cantine, nelle soffitte... Non abbiamo mai visto niente. Niente di niente. Né ci è mai successo nulla.»
Isa sorrise, pensando di essersi lasciata suggestionare. Stava quasi per cambiare argomento, quando Federica aggiunse: «Per quanto... quando i gatti erano nell'altro padiglione (quello più in fondo... sai che abbiamo dovuto spostarli - te l'ho già raccontato)...»
«Che cosa è successo?»
«Ecco, c'erano alcuni gatti che non volevano stare di là. E altri che si comportavano in modo strano.»
«Ad esempio?»
«Ad esempio Pelliccia: lei non si lasciava toccare, quando eravamo nell'altro padiglione. Poi, quando l'abbiamo trasferita qui, insieme agli altri, è cambiata - da così a così.» E fece un gesto eloquente con la mano.
Isa conosceva bene Pelliccia, una vecchietta a pelo lungo, tigrata e affettuosissima: era tra le sue preferite, fra loro si era creata una simpatia istantanea, un'adorazione reciproca fatta di miagolii soffocati e parole pronunciate sottovoce.
Pelliccia seguiva Isa ovunque e, non appena la donna si sedeva su una sedia o sulla panchina del giardino, la gatta non esitava a sistemarsi sulle sue ginocchia, ronfando sonoramente.
Isa non riusciva proprio a immaginare una Pelliccia schiva e selvatica e non riusciva a capire come un semplice trasloco avesse potuto renderla la gatta tranquilla e socievole che conosceva.
«A meno che tu non captassi qualcosa, con quelle tue vibrissette!» le disse scherzosa, mentre le accarezzava la schiena, tornando col pensiero al bisnonno Carlo e ai soldati uccisi.
«Comunque, è per via dell'eccidio... Quello dei soldati fascisti. Dicono che li abbiano seppelliti qui. Non sai quanto è grande, questo posto.»
Isa, in effetti, non ne aveva che una vaga idea. Si ripromise, perciò, di effettuare il prima possibile un giro di ricognizione di tutta la struttura e del parco che la circondava, armata di macchina fotografica e di blocchetto per gli appunti.
Dopotutto, in quel vecchio ospedale psichiatrico era racchiuso anche un pezzo della sua storia familiare.
«Che cosa dici, Pelliccetta? Andiamo in esplorazione?» domandò alla gatta, in piedi di fronte a lei sopra il tavolino del corridoio. La gatta le rispose con un miagolio appena accennato, fissandola intensamente con l'occhio buono che le era rimasto...
Pelliccetta... |
giovedì 7 giugno 2012
I gatti dell'ex manicomio - Parte seconda
♦ Parte prima ♦
L'ex ospedale psichiatrico era una vasta struttura dipinta di verde. Era immersa in un grande parco ora in decadenza e comprendeva una quindicina di nuclei. Due di essi erano occupati da uffici pubblici, mentre gli altri erano abbandonati. Il freddo, le intemperie e il trascorrere del tempo avevano fatto sì che i vetri delle finestre si rompessero e l'intonaco dei davanzali, dei cornicioni e delle facciate cadesse a pezzi.
Intorno al padiglione più vicino all'ingresso laterale di sinistra (quello che si era conservato in miglior stato), si erano radunati i gatti della colonia. Una sessantina in tutto, di ogni colore, taglia e grado di socievolezza.
Isa si era documentata sulla storia dell'ospedale, per conciliarla con quella del bisnonno Carlo.
In città si diceva che fosse infestato dai fantasmi: ragazzini dalla fantasia sovreccitata raccontavano di averli visti passeggiare nel parco, lungo ciò che restava dei viali, e di averli sentiti piangere e lamentarsi. Isa era convinta che avessero udito piuttosto le voci dei gatti, impegnati in qualche gustoso diverbio.
Tuttavia, su Internet e su alcuni vecchi giornali, aveva letto dell'esecuzione di una sessantina di soldati della Repubblica Sociale Italiana ad opera di un gruppo di partigiani, avvenuta nel maggio del '45.
Le fonti non fornivano dati certi sull'episodio, gli stessi resoconti degli storici locali erano discordanti. Ciò che per certo si sapeva era che i militari erano stati prelevati presso lo stadio di Novara (dove era stato allestito un campo di prigionia improvvisato) dalla Brigata "Pietro Camana" e suddivisi in due gruppi: undici di loro erano stati condotti nel paese di L. e qui fucilati; altri erano stati uccisi proprio nell'ospedale psichiatrico e altri ancora erano stati condotti a G. I corpi non furono mai ritrovati.
Isa non era certa che si potesse parlare di fantasmi e un mattino, mentre stava seduta al sole, davanti all'ingresso, ad aspettare Federica, ne chiese notizia ai gatti. «Che dite, voi l'avete mai visto uno spettro? Qualche soldato che avesse la consistenza di un lembo di nebbia... Oppure magari avete visto nonno Carlo! Lui dovrebbe essere un fantasma molto tranquillo...»
Ma i gatti vollero tenerla sulle spine e non risposero. La bellissima Pupetta si limitò a strizzare gli occhi verdi e Vicky le strofinò affettuosamente la testolina sul ginocchio - come a dire che non doveva preoccuparsi di certe questioni...
♦ Continua... ♦
L'ex ospedale psichiatrico era una vasta struttura dipinta di verde. Era immersa in un grande parco ora in decadenza e comprendeva una quindicina di nuclei. Due di essi erano occupati da uffici pubblici, mentre gli altri erano abbandonati. Il freddo, le intemperie e il trascorrere del tempo avevano fatto sì che i vetri delle finestre si rompessero e l'intonaco dei davanzali, dei cornicioni e delle facciate cadesse a pezzi.
Intorno al padiglione più vicino all'ingresso laterale di sinistra (quello che si era conservato in miglior stato), si erano radunati i gatti della colonia. Una sessantina in tutto, di ogni colore, taglia e grado di socievolezza.
Isa si era documentata sulla storia dell'ospedale, per conciliarla con quella del bisnonno Carlo.
In città si diceva che fosse infestato dai fantasmi: ragazzini dalla fantasia sovreccitata raccontavano di averli visti passeggiare nel parco, lungo ciò che restava dei viali, e di averli sentiti piangere e lamentarsi. Isa era convinta che avessero udito piuttosto le voci dei gatti, impegnati in qualche gustoso diverbio.
L'ex ospedale psichiatrico di V. |
Tuttavia, su Internet e su alcuni vecchi giornali, aveva letto dell'esecuzione di una sessantina di soldati della Repubblica Sociale Italiana ad opera di un gruppo di partigiani, avvenuta nel maggio del '45.
Le fonti non fornivano dati certi sull'episodio, gli stessi resoconti degli storici locali erano discordanti. Ciò che per certo si sapeva era che i militari erano stati prelevati presso lo stadio di Novara (dove era stato allestito un campo di prigionia improvvisato) dalla Brigata "Pietro Camana" e suddivisi in due gruppi: undici di loro erano stati condotti nel paese di L. e qui fucilati; altri erano stati uccisi proprio nell'ospedale psichiatrico e altri ancora erano stati condotti a G. I corpi non furono mai ritrovati.
Isa non era certa che si potesse parlare di fantasmi e un mattino, mentre stava seduta al sole, davanti all'ingresso, ad aspettare Federica, ne chiese notizia ai gatti. «Che dite, voi l'avete mai visto uno spettro? Qualche soldato che avesse la consistenza di un lembo di nebbia... Oppure magari avete visto nonno Carlo! Lui dovrebbe essere un fantasma molto tranquillo...»
Ma i gatti vollero tenerla sulle spine e non risposero. La bellissima Pupetta si limitò a strizzare gli occhi verdi e Vicky le strofinò affettuosamente la testolina sul ginocchio - come a dire che non doveva preoccuparsi di certe questioni...
♦ Continua... ♦
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