domenica 17 ottobre 2010

Dell'intrecciarsi di gatti e destini - Parte prima

Dove, dopo alcune pagine scarsamente chiarificatrici, si va a porre le basi della storia, raccontando per sommi capi il passato di Isa e dei suoi gatti.

Il Professore e sua moglie erano appassionati amanti degli animali, ma non avevano alcuna dimestichezza coi gatti.
Il Professore nutriva verso di loro una naturale diffidenza e la signora li teneva a debita distanza, forse segnata dalla triste storia del gatto che possedeva da bambina, scomparso in circostanze misteriose – con ogni probabilità cucinato dal vicino di casa che non disprezzava il sapore delle carni feline.
I primi gatti ad arrivare nella famiglia di Isa (sono sempre i gatti a scegliere gli esseri umani; non accade mai il contrario, per quanto agli uomini piaccia convincersene) furono Micia e suo figlio, Chicco. Nomi non particolarmente originali, ma non si può pretendere riferimenti letterari, storici o filosofici, da una bambina di otto anni.
Chicco e Micia, in verità, erano i denutriti gatti del signor Federico; nel giro di un autunno e un'estate divennero i pasciuti e affezionati famigli di Isa che, a quell'epoca, trascorreva nella piccola casa in collina i mesi più caldi dell'anno e tutti i fine settimana.
Con la vendita della casa (avvenimento che ancora oggi non cessa di suscitare in Isa grande commozione), dei due gatti non si seppe più nulla: il Professore e la moglie non avevano intenzione di rendere il furto definitivo, portandoli in città; e Isa non potè fare altro che ricordarli con affetto negli anni a venire, sentendosi in colpa per averli abbandonati nelle mani del parsimonioso signor Federico.
Gli anni dell'adolescenza furono segnati per Isa da grande sofferenza: accade a tutti gli adolescenti di questo mondo e dunque non si tedierà oltre il lettore con il resoconto dettagliato dei patemi di una ragazzina molto magra, molto pallida e discretamente testarda.
L'unico evento degno di rilievo fu l'arrivo, nell'appartamento di città della famiglia M., della gatta Atena. Isa la trovò - abbandonata e agguerrita esploratrice delle aiuole con l'erba più alta - quando aveva appena due mesi. Il suo carattere si rivelò bellicoso quanto il nome che le era stato affibiato. Per undici anni frantumò porcellane e soprammobili, strappò tende e tappezzeria, rovesciò pentole e vasi, graffiò e morse le mani amorevoli che la accarezzavano e la rimpinzavano. Fu bizzosa, umorale e amatissima. Una gattona tricolore che raggiunse il peso considerevole di sette chilogrammi e morì dopo una breve malattia, che le paralizzò le zampe posteriori. Se ne andò con dignità, senza miagolii strazianti, riuscendo a dimostrare - pur senza indulgere in eccessive moine - a Isa e alla sua famiglia quanto li avesse amati, nonostante tutti i loro difetti.

Il primo fidanzato ufficiale di Isa, D., nutriva verso i gatti una vera e propria fobia; ne temeva l'imprevedibilità e la prontezza dei riflessi, che potevano trasformarli da languidi compagni a temebili avversari nel giro di pochi secondi.
Atena intuì la sua paura e, per quattro anni (tanto durò il fidanzamento di D. con Isa), la sfruttò a proprio vantaggio, con crudele malignità.
«Sei una gatta terribile» affermava Isa con orgoglio, osservandola mentre, seduta sul divano accanto a un irrigidito D., ronfava sonoramente.
D., tuttavia, era una brava persona e Atena finì per onorarlo della sua vicinanza nei momenti meno opportuni: si faceva trovare appoggiata alle sue gambe quando D. si svegliava dalla penichella sul letto di Isa oppure lo bloccava in una stanza, appoggiandogli una candida zampetta sul braccio nel momento in cui il povero ragazzo tentava di raggiungere l'uscita. Una sera, D. fu costretto a battere un pugno contro il muro per chiedere aiuto, dato che Atena, seduta sulla mensola del termosifone del bagno, gli aveva afferrato la manica del maglione con le unghie e non dava segno di voler mollare la presa.
La perfidia che Atena riservava a D. era in fondo bonaria e affettuosa. Quanto meno, rivelava un certo interesse della gatta verso il compagno di Isa.
Diverso fu invece l'atteggiamento di Atena e di Mickey verso Paolino, il secondo fidanzato di Isa. La loro relazione durò solo quattro mesi e, in quel lasso di tempo, si conquistò un paio di graffi profondi da parte della gatta e un ringhio stentoreo da parte del cane.
Paolino era basso e grassottello: l'esatto contrario di D., come spesso accade in questi casi. Aveva un debole per gli alcolici e le frasi melodrammatiche. Riempiva le tasche di Isa di bigliettini in cui la rassicurava sulla solidità del suo amore. Alla ragazza, quelle lettere scritte in brutta grafia, con esiguo utilizzo della punteggiatura, mettevano ansia.
Paolino si vantava di essere un appassionato di Pirandello e Dostoevskij. Eppure, fu proprio la sua millantata passione per la letteratura, a giocargli un brutto tiro.
Isa capì infatti di non esserne innamorata durante una discussione su Il nome della rosa di Umberto Eco: Paolino era convinto che il Manuscript de Dom Adson de Melk fosse realmente esistito e recuperato dall'autore.
«Non posso stare con un uomo che non sa cosa sia una "finzione letteraria"» confidò afflitta alla "Zia" un mercoledì pomeriggio, sorseggiando cioccolata calda. «E tuttavia... oh, mi sento così spocchiosa!»
La "Zia" scosse la zazzera di capelli neri con una smorfia: «Non puoi andare a letto con qualcuno solo per sentirti in pace con la tua coscienza sinistroide...».
«E comunque c'è dell'altro» replicò lei senza raccogliere la frecciata politica. «Beve troppo.»
La "Zia" tacque, incoraggiandola a proseguire.
«La notte di Capodanno era ubriaco fradico. Gli dissi che disapprovavo il suo comportamento e lui nemmeno rispose. Stava seduto al tavolo di quel maledetto locale e mi fissava con occhi velati, limitandosi di tanto in tanto ad emettere piccoli effemminati singhiozzi. Che rabbia!»
«E poi?»
«L'ho trascinato in bagno. Ho spalancato le finestre e gli ho fatto lavare il viso con acqua fredda. Ho cercato di parlargli, ma... Continuava a chiedermi scusa e io mi innervosivo: volevo cercare di capire per quale motivo si fosse ridotto in quello stato e i suoi ripetuti "Perdonami, amore" non mi erano di nessun aiuto.»
«Alcuni uomini trovano divertente ubriacarsi in quel modo la notte di Capodanno...»
«Lo aveva già fatto...»
La "Zia" si limitò a sollevare un sopracciglio.
«Una domenica pomeriggio, dopo un pranzo con gli amici. E' venuto a prendermi - e aveva la voce impastata. Rideva per nulla e il suo alito...» Isa sventolò la mano in un gesto inequivocabile.
«Com'è andata a finire?»
«Quella domenica? Mi sono fatta riportare a casa...»
«No, no: la notte di Capodanno, intendo.»
«Si è inginocchiato davanti a me, sul pavimento lercio del gabinetto.»
La "Zia" iniziò a ridacchiare.
«Non ridere! Non c'è niente da ridere... Mi ha preso la mano, chiedendomi ancora una volta perdono. Un gesto melodrammatico e cretino, non trovi? Ero così infastidita! Ho aperto la porta e ho fatto per andarmene, ma lui l'ha richiusa con un colpo secco, violento. Mi sono voltata e l'ho guardato in silenzio, furiosa. Immagina, si è scusato altre mille volte; ma il suo gesto... cielo, mi sono vista come la protagonista di quel libro di Doyle... [1]»
«E non hai torto: lascialo perdere, dammi retta. E non raccontare a M. la storia del bagno e del colpo alla porta, se non vuoi che finisca male.»
«Secondo te ho sbagliato a lasciarlo?»
«No: l'abuso di alcol peggiora le prestazioni sessuali.»

Con la morte di Atena, la situazione si fece ancora più critica. Isa e Mickey rimasero soli, indeboliti dal dolore per la perdita della loro battagliera compagna.
Il Professore e sua moglie non comprendevano l'apatia della figlia; non riuscendo a comunicare con lei verbalmente (giacché Isa era dotata di un carattere spinoso, incline al pianto così come a fragorosi scoppi d'ira), le scrivevano lettere che la facevano sentire in colpa, sciocca ed egoista.
«Mio padre dice che vivo male perché non partecipo alla vita della mia famiglia e non condivido né con lui né con mia madre ciò che mi sta succedendo» raccontò Isa alla "Zia" una sera, mentre sullo schermo del televisore scorrevano i titoli de La signora della porta accanto.
«Com'è giusto che sia: è di cattivo gusto rivelare i propri pensieri ai genitori.»
Ma Isa non possedeva il cinismo della "Zia" e spesso si trovava a combattere contro le lacrime e un debilitante senso di impotenza.
La storia con Emiliano per quanto sincera, profonda e, per un certo periodo, appagante, finì nel silenzio.
A lui successe A., che la "Zia" e M. battezzarono subito "l'Ipocrita" - vago eppure evidente omaggio a Dostoevskij...

Continua...

[1] Il riferimento è a R. Doyle, La donna che sbatteva nelle porte.

2 commenti:

  1. Ah, i Gatti...tu pensi di scrivere "di" un gatto (o "di" più gatti) e poi ti accorgi invece che sono loro che hanno "scritto su di te", sul tuo cammino...e non puoi fare altro che prendere nota :-)
    Bellissimo e tanto piacevole il nuovo Blog, Isa!

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  2. Sì, è vero. E soprattutto ti accorgi che la vita - quella di cui amiamo scrivere - sarebbe decisamente "incolore" senza di loro, senza quel naturale e benevolo sarcasmo con cui ci osservano...

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